Spesso confuso per la mera comunicazione, promozione o pubblicità, il marketing è da molti considerato come un concetto negativo, una pratica che mira a “fregare le persone” facendo nascere bisogni inesistenti e stimolando il consumismo sfrenato. I pregiudizi che circondano il marketing sono spesso alimentati dai suoi stessi supposti operatori, in realtà ciarlatani o finti specialisti, markettari improvvisati che basano il loro agire su un’incomprensione di fondo.
Per capire realmente cos’è il marketing, bisogna partire dal suo oggetto di studio, ovvero dallo scambio. La parola marketing potrebbe essere tradotta, dall’inglese all’italiano, con commercializzazione: il marketing ha dunque a che fare con la commercializzazione, ovvero con l’immissione di un bene nel mercato. Se definiamo come bene qualsiasi prodotto o servizio che possieda un valore – sia di tipo funzionale che estetico o di qualsiasi altra natura – e come mercato il locus – non necessariamente un luogo fisico – dove avviene lo scambio di un bene tra due entità, ecco che abbiamo chiarito l’ambito di cui si occupa il marketing.
Per passare ad una definizione più accurata, è necessario porre un’ulteriore distinzione, quella tra il marketing come disciplina di studio ed il marketing come pratica operativa. Sebbene il marketing come disciplina che studia sistematicamente la commercializzazione abbia un’origine relativamente recente, la pratica del commercio ha origini ben più remote. Sarebbe opportuno addentrarsi nei dettagli della teoria del dono e della teoria sull’economia di mercato, ma lascio l’approfondimento ai soli interessati. Ai fini di questo post, ci basti considerare che quando il primo homo sapiens particolarmente bravo a costruire frecce ha incontrato un suo simile particolarmente bravo a cacciare e, i due, hanno deciso di dividersi il lavoro scambiandosi delle frecce nuove con del cibo fresco, qui già troviamo l’ambito d’azione del marketing.
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Dunque, possiamo affermare che il marketing è l’attività economica volta all’uso sistematico dei fattori necessari alla commercializzazione di un bene; se inteso come disciplina, è lo studio di tale attività. I fattori suddetti sono principalmente quattro: il prodotto, il prezzo, la promozione e la distribuzione. Essi costituiscono il cosiddetto marketing mix (o anche 4P, dall’inglese product, price, place, promotion). E importante non fraintendere neanche questi quattro elementi, dandone un’interpretazione restrittiva; provvederò a spiegarli con la sufficiente profondità in futuro, in un nuovo post.
Tornando allo scambio, esso implica la presenza di almeno due entità – individui – con una funzione di utilità diversa, l’uno dall’altro, in relazione ai beni scambiati. Nel nostro esempio, il produttore di frecce, dato che ne ha molte, valuta che una freccia valga meno di un pezzo di carne; viceversa per l’altro homo sapiens. Se ripetiamo il discorso utilizzando il valore monetario di un bene, tutto è ancora più immediato: se compero una focaccia per 1euro vuol dire che per me la focaccia vale più che tenermi l’euro in tasca, mentre per il fornaio vale più un euro che quella specifica focaccia.
Dov’è il marketing in tutto questo? Il marketing, agendo sulle 4P – e su altri elementi che chi è del mestiere conosce –, può massimizzare il valore ottenuto dallo scambio; il valore di chi vende, quello di chi compra e/o quello di entrambi contemporaneamente. Qui arriviamo allo smantellamento della teoria secondo cui il marketing sarebbe un’arma delle aziende ai danni del consumatore.
Continuiamo con l’esempio della focaccia. Supponiamo che il fornaio, con una ricerca di marketing, scopra che agendo sulla leva del prezzo, abbassandolo a 0,90€ otterrebbe altri due clienti oltre a me. Tizio e Caio non erano disposti a spendere 1€ per una focaccia perché, per loro, vale al massimo 0,90. Supponiamo anche che il fornaio abbia un costo di produzione per focaccia pari a 0,80. A questo punto, nell’ipotetico mercato formato solo da me, Tizio, Caio, ed il fornaio, quest’ultimo ha due possibilità:
- Vendere le focacce ad 1€, quindi solo a me, guadagnando 1*(1-0,80)=0,20€
- Vendere le focacce a 0,90€, quindi a me, Tizio e Caio guadagnando 3*(0,90-0,80)=0,30€
Perché non sarebbe meglio vendere le focacce ad 80 centesimi, massimizzando l’utilità dei consumatori? Perché a qual punto non ci sarebbe alcun incentivo a produrre focacce e il fornaio farebbe meglio ad andare a spasso, senza perdere tempo a lavorare. A questo punto l’utilità sarebbe ridotta a zero sia per il produttore, che non avrebbe più un lavoro, che per il consumatore, che non potrebbe più mangiare focacce.
L’esempio è molto banale, me ne rendo conto. Il concetto è che le leve del marketing permettono di agire sul valore generato dallo scambio, sia spostandone il bilanciamento tra venditore ed acquirente che aumentandone e diminuendone il valore assoluto. Il markettaro improvvisato, che non ha capito il senso del marketing, oppure quello guidato dalle direttive di un amministratore dalla visione corta, cercherà di agire sulle leve del marketing schiacciando il valore del consumatore e cercando di spostarlo a favore del venditore, anche a costo di perderne un po’ nel passaggio.
In realtà, se si sviluppa la capacità di una visione d’insieme, collettiva e di lungo periodo, dell’intera società, è evidente che il massimo beneficio è ottenuto, da tutte le parti in causa, quando l’obiettivo è la massimizzazione del valore assoluto – dove, ancora una volta, non ci si riferisce al mero valore monetario ma a quello che include, appunto, i valori dell’essere umano e della sua esistenza.
Un coltello da cucina è un oggetto “cattivo” perché, oltre che per affettare il salame, potrebbe essere utilizzato per accoltellare una persona? Evidentemente no, malvagio – o forse stolto – è chi lo usa per questo secondo scopo. Così il marketing è solo uno strumento dalle grandi potenzialità, per il bene individuale e collettivo. L’importante è affidarne le redini a persone -almeno- sufficientemente intelligenti.