Non farlo, non hai tempo. Ci sono tantissime cose migliori da leggere, guardare, ascoltare o assaporare. Se non hai mai visto Senso di Luchino Visconti o Senso ’45 di Tinto Brass perché dovresti dedicare tempo a leggere questo post? Se non hai mai letto l’Ulisse di Joyce, perché perdere tempo a leggere l’ennesima newsletter sul marketing?
Anche Leopold Bloom faceva marketing. Seguirlo nel corso della sua giornata è più utile, formativo, divertente e bello che scrollare TikTok per 18 ore. Non riesco a trovare in rete quanto sia il tempo di lettura di Infinite Jest, eppure per cercarlo stavo già cadendo nella trappola di un articolo scritto apposta per catturare la mia attenzione e venderla agli inserzionisti pubblitari. La cosa non ha funzionato perché da tempo uso Brave Browser. O, meglio, non è arrivata la pubblicità, ma l’attenzione è stata catturata e così pure il mio tempo. Che poi in realtà mi piace vederla, la pubblicità.
Disattivo la protezione di Brave e cerco i messaggi publicitari, sentendomi un po’ in colpa verso l’autrice o l’autore[1] dell’articolo in cui sono capitato per caso. Con mio grande stupore non ci sono annunci, non si vede niente che cerchi di convincermi a spendere i miei soldi. Mi tocca scrollare fino alla fine dell’articolo ed eccolo lì, il link di affiliation marketing per acquistare un libro su Amazon. Mentre cercavo la pubblicità, l’occhio mi è caduto sul vero contenuto dell’articolo: sembra ben scritto. Non c’è alcun riferimento al tempo di lettura di Infinite Jest, l’informazione che stavo cercando, ma a parte questo sembra interessante. Ed ecco pure l’autrice, nella barra destra, si chiama Francesca. Ora capisco il malinteso, mi sembrava di essere su una testata collettiva con più autori, invece Tegamini è lei. Di lavoro scrive contenuti, a quanto pare lo fa bene. Ok salvo l’articolo in Pocket, forse un giorno lo leggerò [2]. Oddio, mille contenuti, link, profili social. È brava e seguita e io non la conoscevo. Sono finito per caso su un suo articolo mentre cercavo informazioni per giustificare il mio invito a non leggere articoli. Mi sento in colpa. Se mai leggerai questa cosa, nonostante l’avviso a non farlo, lo chiedo direttamente a te, Francesca: perché una persona che non ha mai letto Infinite Jest dovrebbe dedicare tempo a leggere contenuti anonimi o quasi sconosciuti, forse belli o forse no, senza alcuna certezza di dedicare il proprio limitatissimo tempo a qualcosa che ne vale la pena? Comunque mi dispiace ma il libro io l’ho già letto, ne ho pure una copia cartacea negli scatoloni del trascloco, anche se quello che ho letto io era l’eBook sul Kobo[3].
Perdendo il filo del discorso, influenzato dallo stile di scrittura nidificato di David Foster Wallace, sono tornato in modo completamente casuale al punto chiave del mio discorso. La domanda che ho rivolto a Tegamini già racchiude la rispsota: per guardare Dune di David Lynch servono almeno 2 ore e 17 minuti, oltre alla difficoltà di andarlo a trovare. «Una puntata di una serie dura 20 minuti» invece, così mi dicono. No, a questa argomentazione non resisto. Tutte le volte salta fuori il discorso delle serie. Io, un po’ a disagio, faccio finta di niente. Poi arriva la domanda esplicita. Mi tocca dire che non mi capita di guardale. Sento di dovermi giustificare. Ma poi mi arrabbio, cazzo. 6 episodi da 20 minuti fanno già due ore e alla fine non si conclude niente. Quante pagine di Q di Wu Ming avrei potuto leggere in quelle due ore? Finché Q resta in una scatola del trasloco, bianco immacolato, senza pagine spiegazzate e macchie di dita, che senso ha dedicare tempo all’ennesimo prodotto culturale finanziato e distribuito con l’obiettivo di catturare la mia attenzione e i miei soldi? Scusate, mi stavo arrabbiando e ho divagato nuovamente. Il tema del tempo totale di fruizione di un contenuto è reale e giustificato.
Dostoevskij ha scritto Delitto e Castigo a puntate, vendendolo un capitolo alla volta ad un giornale. Anche quel prodotto culturale è stato finanziato e distribuito con l’obiettivo di catturare l’attenzione e i soldi di qualcuno. Eppure in Raskol’nikov ho trovato qualcosa di me, mi sono immedesimato, ho commesso il mio delitto irrazionale e mi sono procacciato da solo un castigo per espiarlo. Così accade pure nella puntata di una serie televisiva. Probablmente, si trova qualcosa di sé. Insomma a pensarci bene la formula della serie è perfetta, i capitoli di un libro non sono altro che questo. Anche Dragon Ball è una serie. È stato tempo sprecato quello che ho dedicato, minuto dopo minuto, ad aspettare la trasformazione di Goku in un Super Sajan? Posta in questo modo è una domanda infame, ma svela un’altra motivazione a guardare certi contenuti: la condivisione di un background culturale. Non volevo usare una parola in inglese ma non so come altro dirlo. Leggendo la definizione di Treccani mi viene anche il dubbio di usare la parola nel modo sbagliato. La traduzione in italiano più simile a quello che intendo io è “esperienza collettiva condivisa”. Se non hai visto i Simpson non puoi capire questo meme.
Ed eccoci arrivati al punto, il meme. Resto su Treccani per la definizione ufficiale:
Un singolo elemento in grado di monopolizzare l’attenzione. Questo è il punto chiave. Proprio ora che ci sto arrivando credo sia il caso di fermarsi. Volevo fare un post breve per spiegare come mai questo blog esiste, perché è stato rinnovato e con quale spinta continuerà ad essere visitato, anche se non ce ne sarebbe motivo. Non ci sono riuscito. Ma se hai letto fino a qui, per favore, scrivimi. Scrivimi quello che ti passa per la testa, qualsiasi cosa. Anzi no, qualcosa di vero, che poi magari non è vero in assoluto ma che in questo momento ti sembra di sentire per davvero. Forse in due, cinque, dieci persone che si scrivono quel che sentono veramente possiamo capire meglio come vivere il nostro limitatissimo tempo.
Lascio spazio alle note:
[1] Come si usa il linguaggio inclusivo in questo caso? Non poteva firmarsi e basta? Per cercare il carattere Ə , ovvero schwa, perché iOS lo ha aggiunto alla tastiera da iPhone ma non ho ancora imparato come farla (o farlo?) da Mac, sono finito in un altro articolo. Questa volta è di Vanity Fair e il modello di business è più chiaro, ma la cultura che lo guida pare si basi proprio sulle differenze di genere. Ieri in Talent Garden sono passato accanto alla scrivania di Joe, stava facendo una ricerca su Porn Hub. Mi ha raccontato del film Romance con Rocco Siffredi, diretto da Catherine Breillat. Abbiamo constatato che tendenzialmente i film porno sembrano finti perché esagerano la focalizzazione sull’atto sessuale, mentre i film di tutti gli altri generi sembrano finti perché omettono una parte importante della sessualità. C’è una correlazione tra l’inclusività di un gruppo sociale e il suo livello di tabù e censura della sessualità? L’utilizzo di un linguaggio inclusivo può avere un impatto sul modo in cui discriminiamo la realtà? Una sessualità vissuta in modo completamente libero, senza tabù e omissioni, è un’utopia da perseguire per raggiungere una società migliore, oppure è la via verso la distopia del Mondo Nuovo?
[2] Pocket è una bellissima app che permette di salvare un contenuto che non hai tempo di leggere in quel momento ma che potresti recuperare facilmente in seguito. Si sincronizza in automatico con il lettore e-book e per questo, qualche anno fa, è capitato che trascorressi un’estate intera a leggere articoli salvati durante l’inverno. A parte questa magica eccezione, da quel momento non faccio che accumulare in pocket articoli interessantissimi il cui tempo di lettura complessivo deve aver ormai superato il tempo che mi resta da vivere.
[3] Sono sempre stato un grande sostenitore di Kobo al posto di Kindle, ovvero dell’acquisto di ebook da Feltrinelli e non da Amazon. Lo sai che Giangiacomo Feltrinelli ha recuperato personalmente Il dottor Zivago da Pasternak andando a Berlino, in piena Guerra Fredda, rischiando la vita per poi poterlo pubblicare in anteprima mondiale assoluta? E che è stato trovato morto vicino ad un traliccio con addosso documenti falsi in circostanza piuttosto ambigue? Va bene, Jeff Bezos ha volato ai limiti dell’atmosfera terrestre in una sua navicella spaziale indossando un cappello da cowboy. Io stesso ho Amazon Prime da dieci anni, quando costava 7.99€ o forse anche meno, mentre ora dicono che costa mlto di più ma non so dire quanto, non capisco quando mi vengono scalati questi soldi. Nel frattempo comunque uso al massimo Amazon Prime, Video, Wardrobe, Photo, Music (no in realtà quello non mi piace, si sta meglio con Spotify), etc. ma al contempo dico che Amazon è cattiva. Morte al Kindle, viva gli ePub.